giovedì 26 gennaio 2012

IL CIBO COME DROGA

Si può essere davvero dipendenti dal cibo?
Ci sono meccanismi di base in comune, all’interno del nostro cervello,  che evocano risposte simili quando assumiamo cibo (o meglio, il cibo che a noi piace di più) o droga?

Sembra proprio di si.
Il cibo e le sostanze da abuso vanno ad attivare gli stessi meccanismi del piacere e della ricompensa provocando una serie di risposte condizionate.

Perche si parla di risposte condizionate?
In psicologia il condizionamento è un preciso processo per cui uno stimolo determina un’azione riflessa .

Il cibo ci attrae, è spesso all’interno di discussioni quasi sempre piacevoli quindi produce piacere.
Quando proviamo questo genere di sensazione, il nostro cervello impara ad associarla con le “condizioni” che la preannunciano.
Quando poi questo genere di ciclo del piacere si ripete e diventa più affidabile, quel ricordo si rinforza.

Ecco, quindi, il condizionamento.
Il meccanismo di condizionamento delle droghe è più forte in quanto ognuna di queste è dotata di proprietà chimiche specifiche diverse da quelle del cibo.

Il cibo o il sesso, seppure siano forti produttori di piacere, necessitano di tempi più lunghi per attivare la via di piacere e ricompensa.
Una volta creato un ricordo condizionato la risposta diventa un riflesso: su questa tipo di meccanismo si fondano tossicodipendenza e fame compulsiva.

Perche i cibi con molte calorie sono quelli più appetibili e quindi con maggiori probabilità di creare una fame compulsiva?

Quando  vivevamo di caccia la ricerca del cibo non era sempre una garanzia di successo per cui gli alimenti più ricchi di energia erano quelli più vantaggiosi per la sopravvivenza.
I nostri geni da allora non sono più cambiati quindi gli alimenti più calorici scatenano ora come allora questi meccanismi.

Cosa succede nel nostro cervello?

Aumentano i livelli di un neurotrasmettitore, la dopamina: questa sostanza serve a dirci cosa è importante, dandoci preziose informazioni sugli stimoli esterni inattesi e nuovi.
La regione celebrale coinvolta nei meccanismi di ricompensa e motivazione è lo striato: qui è possibile notare un aumento dei livelli di dopamina ogni volta che si è stato presentato, un cibo cui siamo stati condizionati.
Una volta condizionati mangiare, annusare o guadare il cibo scatenerà qui meccanismi, qui sopra indicati, che sono gli stessi stimolati dalle droghe.

Il ruolo della dopamina, una volta che i suoi livelli superano un determinato livello, è semplice: realizzare un obiettivo.
Ora possiamo capire la ragione scientifica dell’ inconscia espressione : “ guarda come è magro, ha una gran volontà, io non ci riesco”.
Dominare impulsi ancestrali con la sola forza di volontà non è impresa semplice.
La componente genetica, nella genesi delle tossicodipendenze e dei disordini alimentari, è notevole ed infatti indice per circa il 50 per cento dei casi.
I geni che sono coinvolti hanno meccanismi d’azione molto diversi tra di loro ed agiscono a livelli completamente indipendenti tra di loro: velocità ed efficienza di metabolizzazione di cibo o droghe, probabilità di avere comportamenti a rischio ….

Nel caso dell’obesità, per esempio, un individuo potrebbe essere troppo sensibile ad un meccanismo di ricompensa del cibo.
Altri individui hanno una scarsa risposta dei meccanismi regolanti la sazietà e quindi molto vulnerabili ai segnali collegati al cibo.

Dal punto di vista farmacologico personalmente nutro speranze zero perché, per quanto possa essere inventata “ la pillola del secolo”, i meccanismi psicologici credo che sarebbero in grado di spazzare via, dopo una fase di adattamento, qualsiasi sostanza.

Ritengo che andrebbe data maggiore importanza alle terapie di gruppo in quanto lo stigma sociale di obesità e tossicodipendenza crea un forte senso di isolamento.
In tal caso lo stato di stress creatosi in stati di solitudine  è letteralmente benzina sul fuoco.

Diverso è il gruppo: questo  ponendosi, per definizione, come “terzo elemento”, permette allo stesso paziente di percepire e possedere, nel lungo periodo, una migliore consapevolezza dei suoi problemi.
Un’attenta riflessione da fare è la seguente: se la droga rappresenta l’illegale, quindi non è facilmente alla portata di tutti, diverso è il discorso col cibo, sempre presente nelle nostre vite.

Ho letto di un esperimento in cui ai topi era somministrata una dieta ricca di zuccheri e ppoi un antagonista degli oppiodi come il naxolone: veniva scatenata un’importante crisi di astinenza .
Questo ci indica come una dieta al alto contenuto di zuccheri  genera un meccanismo di dipendenza.

Dato che questo è valido anche per noi essere umani, interventi atti a mitigare i sintomi dell’astinenza potrebbe essere d’aiuto a chi segue una dieta.

Il mio punto di vista è molto lontano da quelle delle aziende farmaceutiche, credo molto nel potere della mente, le "pillole" per quanto magiche esse siano, rappresenteranno sempre, nell'ambito dei disordini alimentari, un tentativo di ovviare al problema raggirando l'ostacolo.

Consapevolezza, priorità e forza di volontà fanno la differenza!

lunedì 23 gennaio 2012

OPS, MA STIAMO DIVENTANDO GRASSI?

Nel  corso degli ultimi due decenni stile di vita e dieta hanno subito un notevole ridimensionamento con conseguente molto negative per la salute umana.

Il problema dell’obesità sta diventando più grande della fame anche in zone del mondo che storicamente hanno dovuto affrontare il dilemma quotidiano del reclutamento delle calorie.
In paesi come Messico, Egitto, Sudafrica, più della metà degli adulti è in sovrappeso, circa un quarto sono obesi.

In Sudamerica, in Medio Oriente e nell’Africa settentrionale, almeno un adulto su quattro è in sovrappeso.
Il numero delle persone il sovrappeso al mondo è di circa 1,3 miliardi contro gli 800 milioni di persone sottopeso!
Se inizialmente si associava il problema sovrappeso/obesità a tassi di ricchezza più alti, ora lo scenario sta cambiando.

Le percentuali di obesi nei paesi in via di sviluppo stanno diventando ormai simili a quelli dei paesi europei o dell’America settentrionale.
Nel corso di una generazione abbiamo assistito alla transizione alimentare, su cui scriverò un articolo a breve, una delle conseguenze sociali più dure della globalizzazione.

Alcuni cambiamenti come consumo di bevande gasate, aumento dell’utilizzo di cibi d’origine animale, aumento della sedentarietà ha creato una serie di atteggiamenti che (irreversibilmente? Spero di no…) contribuiscono, giorno per giorno, all’aumento di malattie come diabete e cardiopatie.
Cosa c’è dietro a queste dinamiche? Perché paesi poveri ora si comportano da questo punta di vista come paesi ricchi?

La quadratura del cerchio non è così semplice, sono tante le situazioni che s’intrecciano.
Il ruolo dei governi non è secondario, a dispetto del tentativo ipocrita dei vari Ministeri della Salute di “educare il popolo”: sono gli stessi sati ricchi a vendere e inondare i paesi in via di sviluppo di cibi grassi, ricchi di zuccheri semplice tutti, ovviamente a basso costo.

Il Messico è un esempio utile alla nostra causa.
Nel non lontano 1989 il 10 per cento della popolazione era in sovrappeso: in quegli anni povertà e fame erano il vero problema, l’obesità non la conosceva in sostanza nessuno.
Le rilevazioni del 2006 hanno verificato che tutto è cambiato: la media della popolazione in sovrappeso era di circa il 65 per cento.

I diabetici di tipo 2 (la forma se insorge in età adulta) messicani erano in sostanza inesistenti circa venti anni fa, a oggi sono un sesto della popolazione.
Sicuramente la vicinanza a paesi come gli Stati Uniti hanno determinato influenza dal punto di vista culturale m anche fenomeni come l’inurbamento ha un ruolo importante.
Un nuovo fattore che aumenta in maniera quasi esponenziale il ruolo di uno stile di vita sbagliato nella genesi di una malattia è la possibilità di fare dei check up sul paziente.

Mentre nei paesi occidentali il monitoraggio delle condizioni di salute del paziente è una costante durante tutta la sua vita, questa prassi non caratterizza le popolazioni dei paesi in via sviluppo.
Questa dinamica si traduce in diagnosi non sempre corrette o per lo meno tardive che aumentano la possibilità di avere complicazioni.

Dieta e stile di vita nei paesi in via di sviluppo

Uno dei principali fattori che ha contribuito all’aumento degli obesi nei paesi in via di sviluppo è l’uso di bevande dolcificate.
Le uniche bevande che l’uomo ha conosciuto durante la sua evoluzione sono acqua e latte.
Il problema sorge per un mancato meccanismo di compensazione.

Se beviamo acqua mangiamo una determinata quantità di cibo; se beviamo una Fanta o una Coca-Cola siamo attenti a diminuire l’introito calorico del pasto? Direi proprio di no…

Secondo alcune rilevazioni americane, tra il 1977 e il 2006 i dolcificanti aggiunti alle bevande hanno aumentano l’apporto calorico di circa 137 kcal: in un anno sono circa 7 kg.

Una domanda che mi rivolgono spesso i pazienti in studio è questa: dottore sono ingrassato/a ma in realtà mangio poco!
Un attimo, lo dico io se tu mangi poco: questa rilevazione apre la porta a quelle calorie che io chiamo “invisibili”; mangiamo senza capire quello che accade realmente.

La colpa è da attribuire alle grandi catene di supermercati le quali, mosse da interessi economici e dalla ricerca di nuovi mercati, hanno invaso i paesi in via di sviluppo.

Risultato? Crescente numero di supermercati con disponibilità di cibo a basso costo.
In America latina il numero di negozi è aumentato dal 15 per cento del 1990 al 60 per cento del 2000.

Altro fattore è l’aumento del consumo di cibi ad alta densità energetica.
Un esempio importante riguarda gli oli: i progressi tecnologici hanno reso questa categoria di alimenti facilmente accessibili anche alle famiglie più povere per via del loro basso prezzo.
In Cina, l’aumento del consumo giornaliero di oli è passato da 14,8 grammi del 1989 a 35,1 grammi del 2004: 183 kcal in più al giorno.

Morale della favola?
I due fattori contribuiscono all’introduzione giornaliera delle calorie contenute in un piatto di pasta: che effetto vi fa pensare di mangiare, oltre quello che già fate adesso, un piatto di pasta in più ogni giorno?

L’altro grande cambiamento è l’enorme aumento dei cibi di origine animale.
Negli ultimi venti anni l’aumento della richiesta e del consumo di carne, pesce, pollame e uova sono da attribuirsi quasi tutto ai bisogni dei paesi in via di sviluppo.
Il risultato è l’aumento dell’incidenza delle malattie cardiache dovuto in gran parte all’enorme introito di grassi saturi.

Domanda!

Cosa dovrebbero fare le società moderne per diminuire dati che senza sosta aumentano?

L’ipocrisia delle industrie alimentari è comica allo stato puro: secondo il genio di turno il compito dello stato è quello di educare la gente a mangiare bene.
Ok, perfetto, non hanno torto, TEORICAMENTE : ma se poi compri ore e ore di spazi pubblicitari, spazi non casuali, ma scelti ad hoc cosa vuoi che cambi?
Se non sarà messa sotto controllo la transizione alimentare questo fenomeno causerà un aumento delle malattie e una terrificante diminuizione della speranza di vita.

Se non saranno adottate politiche preventive, i costi sanitari potranno mettere in ginocchio le economie di diversi paesi in via di sviluppo.

Arrestare l’aumento dell’obesità è difficilissimo.
Gli studi scientifici degli ultimi anni stanno concentrando lo sforzo in questo senso, ma oggettivamente non basta.

La storia evolutiva dell’uomo ci insegna chiaramente che abbiamo sempre ricercato un’alimentazione più gustosa e stili di vita sedentaria.
Oggi, personalmente, se vogliamo rompere questi nuovi stili di vita e creare generazioni future più rispettose verso se stesse e quindi più sane dobbiamo invertire questa tendenza  PUNTO !





giovedì 19 gennaio 2012

L' EVOLUZIONE DEL MERCATO ALIMENTARE MODERNO

“Gli esseri umani furono concepiti per essere marcatamente conservatori quando si tratta di cibo”: sono le parole di Peter Leathwood, uno dei massimi dirigenti Nestlè.

Perché parto da quest’affermazione?
Perché questo tipo di atteggiamento è ben chiaro alle tante aziende alimentari.

I piani marketing delle industrie alimentari moderne sono partiti dal presupposto che ogni cambiamento di sapore è identificato dall’uomo come un campanello d’allarme.
La chiave di svolta nella catena produttiva sarebbe stata quella di tradurre i desideri dei consumatori in migliaia di prodotti comodi e dal gusto accettabile.

Cos’è successo, nello specifico, all’agricoltura e all’industria moderna?
Il primo grande passo è stato il diffondersi dei cibi pronti che hanno delegato la fase della preparazione degli alimenti dalle casalinghe alle varie Nestlè, Kellog’s, Danone…
Il legame tra i consumatori e i cibi pronti è diventato strettissimo ed è stato, col tempo, il principale strumento per aumentare il fatturato.

La base di questo tipo di evoluzione risiede nella possibilità di alterare, spesso in maniera significativa gli ingredienti, per renderli così più idonei ai processi industriali (a discapito della salute del consumatore).
Col passare del tempo la capacità dei consumatori di prepararsi le proprie pietanze è andata diminuendo per via della rapida industrializzazione e dei conseguenti ritmi frenetici che caratterizzano la nostra società.
Questa debolezza è stata sfruttata al massimo dagli squali delle industrie alimentari che hanno sentito odore di sangue nel declino del tempo che l’uomo moderna dedica a cibo e gastronomia.
E per quanto le attività culinarie fanno da cornice a tradizioni o a eventi, chi la pratica potrebbe fare a meno di eseguirle se solo ce ne fosse la possibilità.
Il tumulto economico-sociale delle Rivoluzione Industriale è stato importantissimo.
La nascente classe media era privata ora del tempo necessario alla preparazione dei cibi ed esigeva, dopo aver passato ore al lavoro, cibi semplici e veloci da preparare o consumare.
 La stessa Rivoluzione che aveva svuotato le campagne stava ora cambiando il volto dell’industria alimentare.
Nasce così una serie di prodotti nuovi di zecca: cereali da colazione, zuppe pronte, latte condensato, sottaceti.
Questa serie di prodotti non sarebbero stati certo gustosi come quelli fatti in casa ma di sicuro rappresentavo quelle caratteristiche in termini di accessibilità economica, sicurezza e praticità di cui il lavoratore moderno avevo disperato bisogno.
Col passare del tempo le aziende alimentari diventavano più competitive e, perciò, i produttori si resero conto di dover non più dominare né uno specifico alimento né un singolo mercato: per tutelare la costante e assillante necessità di tener alti i ricavi, le aziende cercarono di assicurarsi una fetta sempre più larga di mercati e di creare una serie nuova di prodotti con cui invadere il mercato.
La Nestlè iniziò ad acquisire centinaia di piccole aziende europee e in altre aree del mondo, ampliando anche la propria linea di prodotti.
La logica di aziende come la Nestlè era tanto semplice quanto efficace: la loro grandezza era di sinonimo di una tale autorità che si traduceva nella possibilità di procurarsi materie prime ai prezzi realmente ed oggettivamente più bassi.
L’evoluzione delle cose rendeva le aziende alimentari le principali protagoniste della catena “terra-tavola”, quindi dal produttore al consumatore.
Se a molti questo tipo di trasformazione dei mercati e delle dinamiche del mercato alimentare può sembrare sbagliata e illogica in realtà tutto è tranne che anacronistico e incongruo con i tempi.
Perché sono ora le aziende alimentari a dettare le regole?
Perché ora i contadini e le loro schiene stanche non sono più il testo ma il contesto?
La risposta è semplice.
Secondo lo stesso principio per il quale gli agricoltori moderni stavano rimpiazzando una serie di piccoli contadini producendo in maniera più efficiente e a prezzi minori, così le aziende alimentari si facevano carico della preparazione ed il confezionamento delle pietanze, rendendo tutto più economico e pratico.
I critici saranno aspri nella valutazione di questa nuova dinamica post-industriale ma credo che la maggior parte dei consumatori, col tempo, abbia accettato questa pratica percependo in maniera in parte consapevole qualche male necessario intrinseco.
L’asfissiante necessità del lavoratore moderno di praticità è stata l’unico fattore a modulare in un senso l’evoluzione dell’azienda alimentare moderna?
Assolutamente no!
Parto da un esempio. Leggevo tempo fa che a un certo punto negli anni Trenta in Brasile le piantagioni di caffè erano così vaste che avevano saturato il mercato.
Così fu chiesto ai dirigenti Nestlè di inventarsi qualcosa e, malgrado fossero specializzati solo nella trasformazione del latte, riuscirono a rispondere a questa richiesta.
Trasformarono i chicchi in eccedenza in un formato più pratico che pose il consumatore nella condizione di pagare un prezzo.
Il segreto è nella differenziazione (leggere le opere di Michael Porter, noto professore alla Harvard Business School dove dirige l'Institute for Strategy and Competitiveness).
Supponiamo che due agricoltori producano frumento: entrambi non possono applicare chissà quale rincaro quindi se si decidesse di aumentarne il prezzo al quintale molto probabilmente i loro clienti si rivolgerebbero alla concorrenza.

Chi produce prodotti molto simili ad altri avrà margini d’incremento del prezzo in sostanza nulli.

La stesa cosa succede per i produttori di generi alimentari trasformati?
Assolutamente no!

Le attuali aziende alimentari focalizzano la propria attenzione sulla possibilità di rendere i livelli di trasformazione sempre più spinti secondo il principio: materia prima più ti trasformo, più mi fai guadagnare!
Avete notato come il bancone frigo si riempia periodicamente di nuovi prodotti?

Questo perché ogni sorta di “maledetta invenzione alimentare” prima o poi andrà incontro ad un calo delle proprie vendite e diffido che esista un dirigente d’azienda disposto ad accettare una stasi del mercato senza intervenire.

Inizia così la ricerca di un qualcosa di nuovo col il quale invadere il mercato facendo credere ( RIPETO FACENDO CREDERE) al consumatore di  avere esigenza di una nuova pietanza.

Questo quasi infinito potere d’incremento e determinazione del prezzo pone il consumatore nella condizione di non comprare solamente vitamine e calorie ma anche e soprattutto tutta la pubblicità e la praticità che ci sono dietro al prorotto.

In definitiva non saranno certo le mie parole a bloccare mercati in espansioni o industrie alimentari preoccupate di aumentare i propri introiti a discapito della salute di consumatori ingenui ed inermi ma iniziare a sensibilizzarci sull’argomento mi pare d’obbligo.

mercoledì 18 gennaio 2012

Dottor Maiullari Nutrizionista: BURRO VS MARGARINA

Dottor Maiullari Nutrizionista: BURRO VS MARGARINA: La caratteristica che distingue questi due alimenti non è il valore calorico ma la composizione degli acidi grassi. Mentre nel burro il 62...

martedì 17 gennaio 2012

UNO SGUARDO AI PRODOTTI A KM 0

Nel momento in cui acquistiamo frutta o verdura ci siamo mai chiesti quanto costa a  madre Natura, nel corso del suo ciclo vitale, quello specifico alimento? Che impatto ambientale ha?
Capisco benissimo che non è domanda così scontata da porsi ma credo che sia opportuno fare due riflessioni.

Discutevo, tempo fa, con un impiegato della Coldiretti di questo argomento e lui stesso mi ha indirizzato verso alcuni studi fatti dalla stessa associazione.
Uno studio in particolare indica che, se una famiglia scegliesse solo prodotti locali e/o di stagione, il risparmio netto annule relativo alle emissioni di CO2  potrebbe arrivare a 1000 chili.

Il risparmio, così calcolato, per ogni famiglia potrebbe aggirarsi all’incirca dagli 80 ai 100 euro a mese.
Quando scegliamo prodotti a  km 0 la nostra decisione cadrà, ovviamente su prodotti locali.
“Pensa globale, mangia globale” è lo slogan lanciato dalla Coldiretti a favore dei prodotti locali.
Il noto sociologo Zygmunt Bauman, nel libro Globalizzazione e glocalizzazione (Armando editore, 2005 ) parla del fenomeno, appunto, della Glocalizzazione.

Questo concetto è ripreso da un termine nato negli anni ottanta in Giappone, rianalizzato  dal sociologo inglese Roland Robertson negli anni novanta, ed in seguito definitivamente sviluppato da Zygmunt Bauman.
La glocalizzazione ritiene che il fondamento della società in ogni epoca è stata ed è la comunità locale, l'interazione degli individui, organizzati in gruppi sempre più allargati, presenti su un territorio.
La glocalizzazione pone, al centro della sua "filosofia", l'individuo, la persona umana, il patrimonio locale materiale e immateriale della persona e del gruppo di appartenenza.

Navigando in internet mi sono imbattuto in diversi dati che indicano una diminuzione delle importazioni di prodotti dall’estero a favore di un aumento dell’uso dei prodotti locali.

L’impronta carbonica.

Passiamo ora all’analisi di un concetto chiave.
Una costante richiesta delle associazioni dei consumatori è quella di etichettare i prodotti con la loro impronta carbonica, ovvero sulla quantità di  CO emessa durante il suo ciclo vitale.

Alcune nazioni si sono fortemente sensibilizzate all’argomento: Sarkozy ha voluto l’ètiquette carbone , etichettatura che per ora in Francia è in via di sperimentazione solo su un campione di prodotti.
Il problema in alcuni casi riguarda sia le aziende minori, le quali sostengono di non poter documentare o , per lo meno, calcolare le loro emissioni; ma anche le aziende più grandi, le quali tendenzialmente adottano già sistemi ecocompatibili riducendo o azzerando il loro interesse in materia.

Attualmente solo la Svezia si è dimostrata virtuosa, infatti segnala già dal 2009 questo importante parametro.
In Italia, invece, è l’azienda vitivinicola di Salcheto di Montepulciano (SI) ad aver riportato sul etichetta l’impronta carbonica.
Il risultato è che per ogni bottiglia da 750 ml il valore dell'impronta carbonica è di 2,02 kg riparti in questo modo: per un terzo in costi per le attività commerciali come il trasporto, un terzo per la produzione del vetro e per il confezionamento ed il terzo finale per l’uso dei concimi e del gasolio per i vari macchinari.

Questa moderna ed efficiente azienda di produzione vitivinicola merita lode : la dipendenza energetica dai normali ed usuali sistemi di distribuzione si sta riducendo ai minimi termini.
Secondo alcuni dati, se questi metodi di approvvigionamento dell’energia fossero applicati su scala nazionale, le sole azienda vitivinicole contribuirebbero ad una riduzione delle emissioni di anidride carbonica di circa 2,3 milioni di tonnellate.

Un altro concetto, utile alla nostra causa, è quello del food miles ed è nato nel 1990 nel Regno Unito.
E 'stato ideato da Andrea Paxton, che ha scritto un documento di ricerca il quale ha utilizzato il termine per descrivere la distanza che il cibo percorre dalla fattoria dove si produce alla cucina in cui è consumata.
In media, il cibo viaggia tra 1.500 a 2.500 miglia (4.000 km) ogni volta che viene consegnato al consumatore.

La distanza percorsa dai prodotti è aumentata del 25% nel 2007 rispetto al 1980.
Alcuni studiosi ritengono che l'aumento è dovuto alla globalizzazione degli scambi, a  drastici cambiamenti nei modelli di consegna, all'aumento degli alimenti trasformati e confezionati.
Altri affermano che la maggior parte delle emissioni di gas serra creato dal cibo hanno la loro origine nelle fasi di produzione, che creano l'83% delle emissioni complessive di CO2.

Il dato calcolato da Coldiretti è impressionante:  in territorio italiano un alimento, prima di arrivare a tavola, percorre in media 2 mila kilometri.
Se una famiglia, sempre secondo Coldiretti, consumasse prodotti a km 0 il risparmio annuale sarebbe di circa 1000 kg di anidride carbonica.

Fermiamoci però un attimo: quanti km percorrerà invece un alimento a km 0?
Abbiamo notato che un frutto proveniente dal Sud America o dal Africa centrale percorrerà migliaia di km, ma un prodotto locale?
Il Consiglio dei Ministri, attraverso un DDL del 1 marzo 2010, dispone che la distanza massima tra la produzione e la vendita di un prodotto km 0 debba essere al massimo di 50 km.
Attualmente il mercato in questo senso è stato solo stimolato dalle leggi regionali (il Veneto in primis) che identificano il prodotto a km 0 con i prodotti regionali e che destinano il 20% dei mercati, con vendita al dettaglio, agli imprenditori agricoli.

Da un punto di vista nutrizionale la principale chiave di lettura dei prodotti vegetali “locali”  sta nei tempi di trasporto ridotti.
Questi prodotti, raccolti al momento giusto e subito messi in commercio, sono in grado di garantirci un profilo nutrizionale migliore per via della mancata diminuizione dello spettro vitaminico.
Il prossimo passo a livello nazionale è l'approvazione di una legge che renda uniformi i mercati italiani.

Quello che posso consigliare al momento è di fare la spesa dai contadini locali!
Il guadagno sarà doppio: salute personale e ambiente che ci circonda ci ringrazieranno !!!

Voglio infine segnalare due link, tra i tanti, che trovo molto interessanti:





venerdì 13 gennaio 2012

PARLIAMO UN PO' DI SODIO

Uno degli argomenti di maggiore interesse in ambito nutrizionale è sicuramente il discorso che riguarda il sodio. Il sodio è un elemento essenziale per la crescita e la buona salute dell'uomo. In un organismo adulto ne troviamo circa 92 grammi, distribuiti soprattutto nei liquidi extracellulari (40%), nel tessuto osseo (43%) - che funge da riserva -, nel connettivo e nella cartilagine. Il metabolismo del sodio è strettamente correlato con quello del potassio; mentre il primo elemento si trova principalmente nei liquidi corporei esterni alla cellula, il potassio è particolarmente concentrato nei liquidi intracellulari. Questo elemento è un componente essenziale dei liquidi extracellulari del corpo umano e, all’interno del nostro organismo, svolge importanti funzioni come il mantenimento della pressione osmotica, la protezione del corpo dall'eccessiva perdita di liquidi, regola l'eccitabilità muscolare e la permeabilità delle membrane. L’abitudine a salare le pietanze alla lunga a portato ad un uso quotidiano eccessivo di questo elemento. In caso di sovradosaggio prolungato questo elemento è legato all’'insorgenza dell'ipertensione, ma anche, in misura inferiore, dell'osteoporosi (aumenta l'escrezione renale di calcio). Questo tipo di condizione è nota soprattutto nelle civiltà industrializzate dove si assiste ad un consumo eccessivo di alimenti ricchi di sodio e alla temporanea carenza di frutta (sia fresca che secca) e verdure. E' consigliabile non superare 2-6 g di sodio al giorno e non scendere sotto i 500 mg. Una deficienza di sodio può essere provocata da una diarrea prolungata, da intensa sudorazione, da intossicazione di acqua provocata da una grande introduzione della stessa, ma non di sale, dopo una forte sudorazione. Pochi lo sanno, ma il sodio contenuto in natura negli alimenti è già sufficiente a coprire tutte le necessità del corpo: pronunciare questa frase, piuttosto, è sinonimo di visi sbigottiti all’istante ! Invece noi ogni giorno ne consumiamo dieci volte di più! Perché il sodio è così pericoloso? Perché il corpo non lo elimina : lo trattiene fra le cellule fino a quando i reni non riescono a filtrarlo. Così immagazzinato irrita i tessuti e le cellule per proteggersi rilasciano acqua, questo porta a gonfiori, ritenzione idrica e perdita di potassio. Il consumo elevato di sale potrebbe comportare un maggior rischio di sovrappeso : il sale stimola la sete e spesso viene soddisfatta con bibite zuccherate o alcoliche che hanno un elevato contenuto calorico. Il sodio possiede una spiccata capacità di attrarre l'acqua e ciò nel corpo incrementa la massa di liquido che scorre nei vasi sanguigni, questa esercita una forza sulle pareti delle arterie, le quali alla lunga diventano più rigide. Se riducessimo a 5 grammi il consumo giornaliero di sale, vedremmo la pressione "massima" ridursi di almeno 2 millimetri di mercurio in chi ha la pressione normale e di almeno 5 mm nelle persone ipertese. Ma attenzione anche ai cibi di cui ci nutriamo : se ci abbuffiamo di prodotti da forno (pane, biscotti, cracker e grissini), dadi da brodo, ketchup e senape, finiremo ancora per assumere importanti quantità di cloruro di sodio! Occhio poi alle fonti nascoste di sale : cibi in scatola, piatti pronti surgelati, la maionese, i sottaceti, le olive da tavola. L'Italia ad esempio è uno degli stati nel quale si consuma più sale in assoluto. Nel nostro stesso territorio la Toscana ha statistiche migliori per quanto riguarda l’indice di mortalità per infarti ed ictus : qui, infatti, si consuma il pane senza sale ed è tra le regioni con più basso Sembra che al momento l'unico sostituto del cloruro di sodio sia il cloruro di potassio ma ad alte dosi assume un gusto metallico ed amaro. Ci sono molti alimenti insospettabili con eccesso di sodio : croissant, biscotti secchi, cornflakes, pane, pizza, margarina, carne in scatola. Inoltre bisognerebbe limitare al massimo il consumo di sughi pronti o di cibi in scatola. Bisognerebbe inoltre aggiungerlo sui cibi solo a fine cottura per farne assorbire di meno. Sembra che al momento l'unico sostituto del cloruro di sodio sia il cloruro di potassio (il sale dietetico) ma ad alte dosi assume un gusto metallico ed amaro. Può talvolta essere consigliato dal medico ai soggetti ipertesi che hanno difficoltà a limitare i propri consumi di sale comune. I vari tipi di sale: quale scegliere Il sale alimentare è costituito da cloruro di sodio, il quale può essere ricavato dall’acqua di mare (sale marino) oppure estratto dalle miniere derivanti dalla lenta evaporazione di antichi bacini marini (salgemma). Dal sale “grezzo”, dopo un procedimento di raffinazione che elimina la maggior parte degli altri sali presenti, si ottiene il “sale raffinato” (“grosso” e “fino”) contenente solo cloruro di sodio. È disponibile in commercio sale iodato (sia “fino” che “grosso”), che non va confuso con il “sale marino” o il “sale integrale”. Il sale iodato è semplicemente sale comune al quale è stato aggiunto iodio sotto forma di ioduro e/o iodato di potassio. Non è un prodotto dietetico destinato a particolari categorie di individui, ma un alimento che dovrebbe diventare di uso corrente. Sia l’Organizzazione Mondiale per la Sanità che il Ministero della Salute italiano ne consigliano l’uso a tutta la popolazione, al fine di prevenire o correggere quella carenza di iodio che anche in Italia è piuttosto diffusa. Il sale iodato ha lo stesso sapore e le stesse caratteristiche del sale comune, e può essere utilizzato, anzi va utilizzato, a tutte le età e in tutte le condizioni fisiologiche in sostituzione del sale normale, ma con la stessa moderazione raccomandata per il sale non iodato. Un altro sale disponibile in commercio è il cosiddetto sale dietetico, il quale contiene meno sodio, in quanto parte del cloruro di sodio è sostituito da cloruro di potassio. Può talvolta essere consigliato dal medico ai soggetti ipertesi che hanno difficoltà a limitare i propri consumi di sale comune. Una dieta senza aggiunta di sale è sufficiente al fabbisogno di sodio. Contenuto di sodio nei principali alimenti: • Salame 100grammi = 2260 mg • Olive 100gr = 872 mg • Salsiccia cotta 100 gr = 1294 mg • Pizza con formaggio una fetta = 336 mg Come comportarci? • Riduci progressivamente l’uso di sale sia a tavola che in cucina • Preferisci al sale comune il sale arricchito con iodio (sale iodato) • Limita l’uso di condimenti alternativi contenenti sodio (dado da brodo, ketchup, salsa di soia, senape, ecc.) • Insaporisci i cibi con erbe aromatiche (come aglio, cipolla, basilico, prezzemolo, rosmarino, salvia, menta, origano, maggiorana, sedano, porro, timo, semi di finocchio) e spezie (come pepe, peperoncino, noce moscata, zafferano, curry) • Esalta il sapore dei cibi usando succo di limone e aceto • Scegli, quando sono disponibili, le linee di prodotti a basso contenuto di sale (pane senza sale, tonno in scatola a basso contenuto di sale, ecc.) • Consuma solo saltuariamente alimenti trasformati ricchi di sale (snacks salati, patatine in sacchetto, olive da tavola, alcuni salumi e formaggi) • Nell’attività sportiva moderata reintegra con la semplice acqua i liquidi perduti attraverso la sudorazione • Diminuzione giornaliera di sale da avvenire gradualmente (per non pesare) : ad esempio un panino con prosciutto crudo e formaggio apporta circa 4.5 grammi di sale mentre l'accoppiata mozzarella e pomodoro soltanto 2. Le nostre papille gustative si rieducano agevolmente a gustare i cibi meno sapidi. Così nel giro di qualche mese, questi cibi risulteranno saporiti e quelli conditi come prima ci sembreranno eccessivamente forti.

LA SANA E NATURALE ALTERNATIVA A GATORADE ED ENERGADE

Una delle caratteristiche principali della civiltà moderna è la sua costante frenesia.
In seno a questo punto si verifica quotidianamente una tendenza, abbondantemente gonfiata dalla pubblicità, a scegliere cibi dallo scarso valore nutrizionale o integratori alimentari e bevande arricchite di micronutrienti, vitamine e/o sali minerali.
Dal punto di vista bionutrizionale, il valore di questi prodotti è purtroppo legato a politiche di carattere industriale , in base alle quali le esigenze di stoccaggio e distribuzione legate oggettivamente a tempi medio-lunghi , pongono l’esigenza di aggiungere diverse sostanze a carattere non- nutrizionale.

Una pratica molto diffusa , soprattutto negli ambienti sportivi, è quella di integrare il post attività con bevande e qui nasce il mio suggerimento : perché non sostituire l’integratore con qualcosa di completamente sano e naturalmente reperibile?
Le operazioni saranno poche e semplici:
1. ½ litro di acqua
2. Il succo di 1 pompelmo o di 2 limoni o 1 arancia
3. ¼ di cucchiaino da caffè di sale marino o iodato
4. 1 cucchiai di miele o zucchero

Ora voglio compare i due risultati ottenuti ovvero la classica bevanda arricchita contro la nostra bevanda fatta in casa.
BEVANDA ARRICCHITA
Contenuto calorico 28,2 kcal Sodio 41 mg Potassio 8,3 mg Magnesio 3,3 mg *questi dati si riferiscono ad una media tra le tre bevande più commerciali
BEVANDA ARTIGIANALE
Contenuto calorico 49 kcal Sodio 80 mg Potassio 6,4 mg Magnesio 10 mg
*questi dati si riferiscono ad una media tra le tre bevande più commerciali

La scelta del limone può essere dedicata a soggetti che richiedono una spinta metabolica maggiore, un’alcalinizzazione del pH ematico e di una ridotta percentuale di zuccheri.

Nel caso della bevanda “artigianale” la quota calorica totale fa riferimento agli zuccheri dell’agrume utilizzato; nel caso si necessiti di un maggior apporto calorico, come nel caso di sforzi fisici prolungati come ciclismo o maratona, la nostra preparazione può essere addizionata con zucchero o miele.

L’aggiunta del sale andrà a fornire tutti gli elettroliti organici in una corretta percentuale fisiologica. Il consiglio, da non trascurare, sarà quello di preparare la bevanda al momento stesso del sul consumo per evitare la naturale ossidazione del suo contenuto vitaminico.

Ora. Come comportarsi? Cosa fare?
La risposta e l’azione che ne seguirà saranno semplici. Prendere un Gatorade o un Energade, leggete l’etichetta e riflettete: proteiene, carboidrati, minerali, vitamine sono necessari ma le altre sostanze?
ASSOLUTAMENTE No Additivi, coloranti, conservanti sono sostanze dette sostanze non nutrizionali e rappresentano uno dei problemi della nutrizione moderna.

Perciò cari miei , prima di giocare il calcetto con gli amici al lunedì o di andare in palestra, fermatevi un minuto, preparate la nostra bevanda e il vostro corpo vi ringrazierà.

EFFETTI DELLA DIETA SULLA DISPONIBILITA' DEL GLICOGENO E SULLA RESISTENZA ALLO SFORZO

La necessità negli sportivi di introdurre, in particolare, nelle fasi immediatamente precedenti la competizione deriva dalla loro immediata disponibilità per i muscoli che stanno compiendo lo sforzo.

Dato che nel passaggio da una condizione di relativo o assoluto riposo ad una di intensità elevata o sub massimale la maggior parte dell’energia è ricavata dal glicogeno muscolare, la composizione della dieta è fondamentale.

Con l’avanzare del tempo si assiste ad un incremento dell’utilizzo del glucosio plasmatico col contemporaneo ridursi delle scorte di glicogeno muscolare.

Ho letto, di recente, un esperimento in cui a 6 soggetti erano somministrate diete diverse allo scopo di valutare l’impatto sulla resistenza allo sforzo.
Nella prima condizione l’apporto calorico quotidiano veniva rappresentano per la maggior parte dai grassi mentre quello dei carboidrati indiceva per il 5%; tutto questo veniva protratto per tre giorni.
Nella seconda condizione la dieta, sempre seguita per tre giorni, rispecchiava le linee guida.
Nella terza condizione la quota dei carboidrati saliva al 82%; questo tipo di dieta era seguita sempre per tre giorni.

La quota di glicogeno muscolare nel quadricipite femorale veniva determinata tramite biopsia muscolare era di :
- 0,63 ogni 100 gr di muscolo nel primo caso
- 1,75 ogni 100 gr. di muscolo nel secondo caso
- 3,75 ogni 100 gr. di muscolo nel terzo caso L a resistenza , valutata con un lavoro al cicloergometro, variava da 57 minuti della dieta ricca di lipidi, quella del primo caso a 190 minuto con la dieta ricca di carboidrati.

Questo risultati indicano quanto sia importante nell’attività fisica, soprattutto quanto questa viene svolta da professionisti ed in condizioni di competizione, il giusto equilibrio tra i diversi nutrienti e la giusta quota di carboidrati.

Queste indicazioni sono rivolte anche a coloro i quali ,mantenendo uno stile di vita attivo, ricorrono a diete come la chetogenica o le iperproteiche in generale che possono diventare controproducenti sia per la salute sia per la prestazione fisica.

DIGIUNO: E' IL MODO CORRETTO PER EQUILIBRARE GLI ECCESSI "NATALIZI"?

Per digiuno si intende un periodo di alcuni giorni nei quali ci si alimenta delle proprie riserve nutritive, bevendo al contempo almeno 3 litri di acqua oligominerale al giorno.
Tali riserve sono impropriamente chiamate “grasso” o “adipe”, ma questo non è esatto: le riserve nutritive di un individuo vanno ben oltre il grasso stesso, comprendendo sali minerali, vitamine, proteine e zuccheri.

Ad esempio, in ognuno di noi esistono riserve di vitamine del gruppo B che coprono il fabbisogno di svariati mesi.
Pertanto risulta chiaro che, chi si sottopone ad un digiuno, non è realmente” a digiuno” ma sta semplicemente nutrendosi di cibo precedentemente accumulato e che non è stato in grado di smaltire a tempo debito, come per esempio in questi giorni post-natalizi.

Ma l’approccio del digiuno è quello ideale?
Nella maggior parte ritengo di poter rispondere con un secco no. E vi spiego perché.
Molte volte ho sentito parlare di digiuno senza che questa pratica , la quale affonda le sue origini medico-scientifiche agli albori della medicina, viene effettuata con approccio superficiale.

Se sentiamo davvero l’esigenza o la curiosità di affrontare questo percorso bisognerebbe essere seguiti da personale medico specializzata.
Inoltre, anche nel fai da te, bisogna tener conto che all’improvviso ci si può trovare davanti alla tv all’una di notte con gli avanzi natalizi in frigo pronti ad essere spazzolati via in un amen. È la situazione ideale? Immaginate la risposta.

In maniera più salutare , costruttiva e meno stressante inizierei con :

1) SANA E REGOLARE ATTIVITA FISICA : se una corsa regolare di mezz’ora tre volte a settimana non è nelle proprie corde camminare regolarmente a piedi ( care donne tra un po’ iniziano i saldi, un buon modo per smaltire

2) ALCOOL & DOLCI: sono due categorie di cibo per nel periodo natalizio sicuramente non mancano quindi farne a meno per 3 settimane non mi sembra un grosso sacrificio

3) FRUTTA : al mattino e/o nel pomeriggio la leggerezza è la parola d’ordine

Buona ripresa !

BURRO VS MARGARINA

La caratteristica che distingue questi due alimenti non è il valore calorico ma la composizione degli acidi grassi.
Mentre nel burro il 62% degli acidi grassi è saturo mentre nella margarina è solo il 20%.
Nella preparazione della margarina e di altri oli come quello di granturco, di girasole o di soia viene effettuata una parziale idrogenazione.
Il processo di idrogenazione è un processo che permette agli oli insaturi di essere resi semisolidi conferendo , quindi, al grasso maggiore consistenza.
In questo caso l’aggiunta dell’atomo di idrogeno conferisce un aumento della temperatura di liquefazione. La struttura in genere polinsatura degli acidi grassi è così modificata creando dei lipidi che non sono naturalmente presenti in natura.

Inoltre, quando uno degli atomi di idrogeno si sposta lungo la catena carboniosa dalla posizione che occupa naturalmente ( posizione cis ) alla posizione opposta rispetto alla catena (posizione trans ) il nuovo acido grasso che si forma è un trans-insaturo.

Nella margarina gli acidi grassi trans-insaturi sono circa 20% mentre nel burro il 7% . Il contenuto di colesterolo varia attorno ai 250 mg nel burro per 100 gr. di alimento mentre è assente nella margarina in quanto olio di origine vegetale.

La discussione a proposito delle due sostanze grasse riguarda chi delle due sia più nociva. È stato verificato come diete con alto contenuto di acidi grassi trans riducono il colesterolo “buono” e aumentano la concentrazione del colesterolo LDL, definibile come aterogenico in quanto filtrando sotto l’intima dell’arteria e nello spazio sotto può essere modificato con inizio del processo aterosclerotico. Un elevato consumo di acidi grassi trans, rappresentati soprattutto in margarine o prodotti da forno aumentano quindi il rischio di malattie cardiovascolari.

Dati molto importanti riguardano la mortalità legata al consumo quotidiano o massiccio di alimenti contenenti acidi grassi trans: i ricercatori affermano che circa 30000 morti all’anno solo legati a questo tipo di atteggiamento a tavola.

La regola generale è ormai nota a molti: un eccesso di grassi saturi (contenuti nel burro) e acidi grassi trans o idrogenati(contenuti nella margarina) aumenta il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari ed alcune forme tumorali.

Dunque, in cucina è meglio utilizzare il burro o la margarina? 

La margarina è spesso pubblicizzata come priva di colesterolo quindi come alimento dietetico ma al termine della lettura di questo articolo sapete bene cosa è nascosto all’interno di questo pericoloso alimento. Limitarli entrambi sarebbe, ovviamente, la risposta più spontanea .

Dovendo, però, scegliere tra i due meglio scegliere il burro, stando attenti a qualità e provenienza, senza esagerare con le quantità.

Ciao a tutti


Sono il dott. Raffaele Nicola Maiullari, nutrizionista.

Ho deciso di creare questo blog per creare un contatto più diretto efficace con tutti voi, pazienti, amici e con chi vorrà più in generale conoscere meglio e costantemente vari aspetti dell’alimentazione.

“Fa che il cibo sia la tua medicina, la medicina sarà il tuo cibo” : questa massima di Ippocrate sarà il mio punto di partenza proprio perché credo fermamente che la cura della nostra salute e del nostro benessere parta necessariamente da una scelta consapevole degli alimenti quotidiani.

Leggete gli articoli, commentateli e cercherò di chiarire ogni vostro dubbio.