giovedì 19 gennaio 2012

L' EVOLUZIONE DEL MERCATO ALIMENTARE MODERNO

“Gli esseri umani furono concepiti per essere marcatamente conservatori quando si tratta di cibo”: sono le parole di Peter Leathwood, uno dei massimi dirigenti Nestlè.

Perché parto da quest’affermazione?
Perché questo tipo di atteggiamento è ben chiaro alle tante aziende alimentari.

I piani marketing delle industrie alimentari moderne sono partiti dal presupposto che ogni cambiamento di sapore è identificato dall’uomo come un campanello d’allarme.
La chiave di svolta nella catena produttiva sarebbe stata quella di tradurre i desideri dei consumatori in migliaia di prodotti comodi e dal gusto accettabile.

Cos’è successo, nello specifico, all’agricoltura e all’industria moderna?
Il primo grande passo è stato il diffondersi dei cibi pronti che hanno delegato la fase della preparazione degli alimenti dalle casalinghe alle varie Nestlè, Kellog’s, Danone…
Il legame tra i consumatori e i cibi pronti è diventato strettissimo ed è stato, col tempo, il principale strumento per aumentare il fatturato.

La base di questo tipo di evoluzione risiede nella possibilità di alterare, spesso in maniera significativa gli ingredienti, per renderli così più idonei ai processi industriali (a discapito della salute del consumatore).
Col passare del tempo la capacità dei consumatori di prepararsi le proprie pietanze è andata diminuendo per via della rapida industrializzazione e dei conseguenti ritmi frenetici che caratterizzano la nostra società.
Questa debolezza è stata sfruttata al massimo dagli squali delle industrie alimentari che hanno sentito odore di sangue nel declino del tempo che l’uomo moderna dedica a cibo e gastronomia.
E per quanto le attività culinarie fanno da cornice a tradizioni o a eventi, chi la pratica potrebbe fare a meno di eseguirle se solo ce ne fosse la possibilità.
Il tumulto economico-sociale delle Rivoluzione Industriale è stato importantissimo.
La nascente classe media era privata ora del tempo necessario alla preparazione dei cibi ed esigeva, dopo aver passato ore al lavoro, cibi semplici e veloci da preparare o consumare.
 La stessa Rivoluzione che aveva svuotato le campagne stava ora cambiando il volto dell’industria alimentare.
Nasce così una serie di prodotti nuovi di zecca: cereali da colazione, zuppe pronte, latte condensato, sottaceti.
Questa serie di prodotti non sarebbero stati certo gustosi come quelli fatti in casa ma di sicuro rappresentavo quelle caratteristiche in termini di accessibilità economica, sicurezza e praticità di cui il lavoratore moderno avevo disperato bisogno.
Col passare del tempo le aziende alimentari diventavano più competitive e, perciò, i produttori si resero conto di dover non più dominare né uno specifico alimento né un singolo mercato: per tutelare la costante e assillante necessità di tener alti i ricavi, le aziende cercarono di assicurarsi una fetta sempre più larga di mercati e di creare una serie nuova di prodotti con cui invadere il mercato.
La Nestlè iniziò ad acquisire centinaia di piccole aziende europee e in altre aree del mondo, ampliando anche la propria linea di prodotti.
La logica di aziende come la Nestlè era tanto semplice quanto efficace: la loro grandezza era di sinonimo di una tale autorità che si traduceva nella possibilità di procurarsi materie prime ai prezzi realmente ed oggettivamente più bassi.
L’evoluzione delle cose rendeva le aziende alimentari le principali protagoniste della catena “terra-tavola”, quindi dal produttore al consumatore.
Se a molti questo tipo di trasformazione dei mercati e delle dinamiche del mercato alimentare può sembrare sbagliata e illogica in realtà tutto è tranne che anacronistico e incongruo con i tempi.
Perché sono ora le aziende alimentari a dettare le regole?
Perché ora i contadini e le loro schiene stanche non sono più il testo ma il contesto?
La risposta è semplice.
Secondo lo stesso principio per il quale gli agricoltori moderni stavano rimpiazzando una serie di piccoli contadini producendo in maniera più efficiente e a prezzi minori, così le aziende alimentari si facevano carico della preparazione ed il confezionamento delle pietanze, rendendo tutto più economico e pratico.
I critici saranno aspri nella valutazione di questa nuova dinamica post-industriale ma credo che la maggior parte dei consumatori, col tempo, abbia accettato questa pratica percependo in maniera in parte consapevole qualche male necessario intrinseco.
L’asfissiante necessità del lavoratore moderno di praticità è stata l’unico fattore a modulare in un senso l’evoluzione dell’azienda alimentare moderna?
Assolutamente no!
Parto da un esempio. Leggevo tempo fa che a un certo punto negli anni Trenta in Brasile le piantagioni di caffè erano così vaste che avevano saturato il mercato.
Così fu chiesto ai dirigenti Nestlè di inventarsi qualcosa e, malgrado fossero specializzati solo nella trasformazione del latte, riuscirono a rispondere a questa richiesta.
Trasformarono i chicchi in eccedenza in un formato più pratico che pose il consumatore nella condizione di pagare un prezzo.
Il segreto è nella differenziazione (leggere le opere di Michael Porter, noto professore alla Harvard Business School dove dirige l'Institute for Strategy and Competitiveness).
Supponiamo che due agricoltori producano frumento: entrambi non possono applicare chissà quale rincaro quindi se si decidesse di aumentarne il prezzo al quintale molto probabilmente i loro clienti si rivolgerebbero alla concorrenza.

Chi produce prodotti molto simili ad altri avrà margini d’incremento del prezzo in sostanza nulli.

La stesa cosa succede per i produttori di generi alimentari trasformati?
Assolutamente no!

Le attuali aziende alimentari focalizzano la propria attenzione sulla possibilità di rendere i livelli di trasformazione sempre più spinti secondo il principio: materia prima più ti trasformo, più mi fai guadagnare!
Avete notato come il bancone frigo si riempia periodicamente di nuovi prodotti?

Questo perché ogni sorta di “maledetta invenzione alimentare” prima o poi andrà incontro ad un calo delle proprie vendite e diffido che esista un dirigente d’azienda disposto ad accettare una stasi del mercato senza intervenire.

Inizia così la ricerca di un qualcosa di nuovo col il quale invadere il mercato facendo credere ( RIPETO FACENDO CREDERE) al consumatore di  avere esigenza di una nuova pietanza.

Questo quasi infinito potere d’incremento e determinazione del prezzo pone il consumatore nella condizione di non comprare solamente vitamine e calorie ma anche e soprattutto tutta la pubblicità e la praticità che ci sono dietro al prorotto.

In definitiva non saranno certo le mie parole a bloccare mercati in espansioni o industrie alimentari preoccupate di aumentare i propri introiti a discapito della salute di consumatori ingenui ed inermi ma iniziare a sensibilizzarci sull’argomento mi pare d’obbligo.

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