lunedì 26 marzo 2012

A VOLTE UN PANINO E' SOLO LA PUNTA DI UN ICEBERG

Soggetto:       Panino McItaly 
Protagonisti:   Luca Zaia, all’epoca ministro per l’agricoltura-governo Berlusconi
                     Roberto Masi, amministratore delegato McDonald’s Italia
                     Carlin Petrini, inventore Slow Food

Nel decennio scorso McDonald (quand’è che la smettiamo di andare al McDonald’s? ci ricordiamo che siamo italiani? UN PO’ D’ORGOGLIO) ha attraversato un periodo di forti cambiamenti e questo credo sia dovuto, tra le altre cose, alla consapevolezza crescente per la quale l’alimentazione va rispettata in modo più serio, molto più serio di quanto faccia ora il consumatore medio.

Nel 2004 il film-documentario “Super size me” lascia di stucco diversi dirigenti McDonald’s: il regista Morgan Spurlock( tutto il mio rispetto per un’opera di questo calibro educativo) si nutre per un periodo lungo un mese esclusivamente McDonald’s.

Cosa vi aspettate sia successo? Ci ha guadagnato in salute?
Guardate il film se non riuscite a rispondere.

McDonald’s ricorre ai ripari e il suo super capoccia ordina: ripulire l’immagine del marchio, farlo diventare il fast food al mondo con la migliore considerazione da parte del pubblico (CHE RIDERE, COS’E’ UNA BARZELLETTA? UNA REPUTAZIONE LIMPIDA PER UNA CATENA CHE VENDE CIBO SPAZZATURA, CABARET!)

L’amministratore di McDonald Italia intuisce di dover puntare sul “Made in Italy” per garantirsi una sorta di slancio nel mercato del Belpaese.
Ora entra in scena il caro ministro Zaia il quale propone di creare un panino tutto italiano al McDonald: MAH! DOPPIO MAH!
Il 24 gennaio 2010, presso il McDonald di Piazza di Spagna a Roma, Zaia e Masi presentato “McItaly”: salsa di carciofi, Asiago, hamburger,olio extravergine e naturalmente pane.

La durata sul mercato del prodotto non è stata lunga, si parla di due mesi e di un fatturato di circa 15 milioni di euro.
Masi commenta così:” McItaly sarebbe dovuto essere un esperimento seguito dalla produzione di altri prodotti”; ci dobbiamo credere? A me paiono tanto parole che nascondono un bluff.
La risposta di Petrini non tarda ad arrivare:”Se una multinazionale realizza un nuovo prodotto, lo produce ed ha buone vendite continua a farlo, se interrompe il processo allora il prodotto non ha dato le risposte in termini di fatturato che i dirigenti si aspettavano”; come dargli torto? Ha enunciato un chiaro principio di economia e, personalmente, gli do pienamente ragione.

La battaglia mediatica continua.

Sia il centrosinistra, attraverso diversi suoi esponenti, sia lo stesso Petrini attaccano il ministro Zaia e McDonald in generale di sporcare l’immagine della nostra favolosa gastronomia.

Leggete cosa scrive il “The Guardian” attraverso il suo critico gastronomico Matthew Fort:”Se c’è mai stato un segno del fallimento morale del governo Berlusconi è la vista del grembiule di McDonald’s avvolto intorno al corpo snello del Ministro dell’Agricoltura Luca Zaia. Il presidente del consiglio, sorpreso a far capriole  con le donne giovani, le dubbie appartenenze politiche e tutti i rapporti discutibili non sono nulla in confronto a questo mostruoso atto di tradimento nazionale”.

Lo chiama tradimento nazionale? Troppa enfasi? Forse no, a me pare un’analisi lucida.

Sono diversi gli autori che commentano in maniera negativa questa operazione di marketing McDonald-Governo Italiano e sono tanti a chiedersi quanto ci guadagni personalmente Zaia da questa operazione.

Lo scontro è duro: da un lato Petrini accusa Masi di sottopagare merce e contadini, dall’altro Masi replica, in maniera ufficiale acquistando una pagina della Repubblica, indicando che la merce è tutta italiana ma alla domanda sui contadini tutto e tutti sono in silenzio.

La seguente dichiarazione di Masi e Zaia sono da mani nei capelli, da mal di testa, da “ma ci fate o ci siete”: “Slow Food è un’ottima iniziativa elitaria, mentre McDonald’s non ha mai smesso di servire studenti, extracomunitari e padri divorziati che non saprebbero dove altrimenti portare i figli durante le lunghe e fredde giornate invernali”.
Ma cos’è una barzelletta?

Io interpreto così le loro parole: l’amministratore delegato di McDonald Italia e il Ministro dell’Agricoltura stanno elogiando un sistema che vende a prezzi contenuti cibo di basso profilo nutrizionale. E VOGLIO ESSERE BUONO!

Intervistato sull’argomento Zaia risponde dicendo che l’iniziativa ha lo scopo di incrementare le vendite dei prodotti italiani e di aver ottenuto l’impegno di McDonald di pubblicizzare il prodotto nel mondo.

RIFLESSIONI

1)      Zaia non ha davvero nessun altro interesse? Credo di no perché ha sempre mostrato interesse nel combattere per il Made in Italy
2)      Era necessario mettere “le cose buona italiane” nei panini McDonald? NI !
3)      Se un’azienda produce un prodotto e vende lo ripropone altrimenti lo toglie dal mercato; McDonald dice di aver tolto dal mercato il panino McItaly non per questo ma per altri scopi aziendali: NON CI CREDO NON CI CREDO, AMICI MIEI, IO NON CI CREDO

E’ una storia strana per alcuni versi perché gli intrecci tra politica, nutrizione, interessi personali e aziendali sono molteplici e farsi un’idea.

La mia idea è che, anche se le azioni McDonald posso pubblicizzare i prodotti italiani, il fast food non va bene.

Associare i fantastici, divini e succulenti prodotti italiani ad un marchio che per quasi tutti è sinonimo di cibo spazzatura è un bene? So già cosa state pensando, bravi!

giovedì 22 marzo 2012

ALCOOL E GESTAZIONE


Recenti rilevazioni statistiche indicano che il consumo di alcolici è in continuo aumento e questo dato è confermato per ogni fascia di età.

Gli effetti tossici dell’alcool interessano diversi distretti corporei e sono strettamente dosi dipendenti.

Alcuni studi hanno evidenziato che le donne che consumano piccole quantità di alcool hanno un tasso di degenerazione minore rispetto alle altre donne.
Questo dato non deve sorprendere in quanto piccole quantità d’alcool aumentando la concentrazione del colesterolo “buono”, l’HDL.

I risultati di sudetti studi sono confermati da altri di neurologia dove è stato evidenziato che donne anziane consumatrici di basse quantità di alcool hanno una quantità di microinfarti celebrali minore rispetto alle donne che non ne assumono.

Nelle gestazione l’indicazione in generale è l’astensione in toto, soprattutto nelle donne che ne assumevano prima della gravidanza.

Nel 1973 è stata descritta la FAS “Fetal Alcool Syndrome”, una sindrome fetale causata dal consumo regolare e quotidiano di alcool.

Questa sindrome comprende numerose anomalie a carico del feto: molte di queste sono diagnosticabili con un’ecografia nel corso della gravidanza come malformazione del cranio e dello scheletro, malformazioni cardiache….
Altre anomali fetali sono diagnosticabili nel periodo post-natale come deficit motori o celebrali, difetti di mal occlusione o dentizione, difetti di crescita post-natale…

Numerosi studi sugli effetti dell’assunzione cronica di alcool evidenziano incidenza sull’aborto spontaneo e sulla morte endouterina del feto.

Atro fattore da considerare è che le donne consumatrici croniche di alcool sono hanno spesso comportamenti non salutari e, quindi, con un insieme di fattori di rischio più elevato rispetto alla popolazione in generale.

Le conclusioni di diversi studi convergono su punti simili:
  1. Non si conoscono le relazioni precise tra frequenza, quantità di alcool e danni al feto 
  2. Tre o più episodi di ubriacatura sono associati ad un maggior rischio di morte endouterina del feto 
  3. Il rischio di parto pretermine aumenta sono nelle gestanti che assumono o alcool tre o più volte al giorni


Alle gestanti col “vizietto” bisogna esporre le motivazioni per la quali dovrebbero annullare il consumo di alcool in gravidanza e, nel caso, offrire un valido sostegno psicologico o consigliare un buon specialista.

venerdì 16 marzo 2012

BIBITE E AUMENTO DEL PESO CORPOREO


Nell'attuale società un’importante percentuale delle calorie introdotte quotidianamente deriva da zuccheri e dolcificanti.
Rispetto agli anni Ottanta, il consumo procapite di zuccheri è cresciuto sensibilmente insieme ai tassi di obesità e sovrappeso.

I produttori, in generale, attaccano l’associazione di questi due dati, ritenendo che l’aumento del peso riguarderebbe le altre calorie introdotte con la dieta.  

COME MAI NON MI ASPETTANO UN COMMENTO DIVERSO DA PARTE DI QUESTI FURBACCHIONI?

Un eccellente studio (vedi NEJM Oct 15;361(16):1599-605) è stato volto dal prof. Brownell  e pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine che analizza la correlazione tra bibite e obesità e la possibilità di tassare le bevande zuccherate (lui però non sa che in Italia abbiamo Monti !).
Questa novità fiscale è una naturale conseguenza, secondo Brownell, dell’aumento dei costi sanitari per l’obesità, soprattutto quella infantile che analizzerò in un altro articolo.

Dati recenti (2005-2006) indicano che l’aumento delle calorie da bevande zuccherate è di 172 e 175 kcal rispettivamente nei bambini e negli adulti: quasi 8 kg in anno, vi sembra poco?

La questione è delicata e controversa.

Naturalmente i produttori sono passati all’attacco, sovvenzionando studi che hanno dimostrato la mancanza di un ruolo primario delle bevande zuccherate nell’aumento del peso.
Vi aspettavate in questo caso un esito diverso?

Uno studio ha verificato che il rischio di obesità aumenta del 60% se il consumo di bevande è quotidiano; in un altra analisi durata 8 anni è stato dimostrato che nel corso di 4 anni il consumo abituale di bevande zuccherate determinava un aumento di circa 8 kg nell’arco di 4 anni mentre chi diminuiva il consumo di bevande zuccherate aumentava di soli 2,8 kg.

Un altro studio confronta gli stessi soggetti in due condizioni differenti: in una assumono dolcificanti ricchi di zucchero e ingrassano, nella seconda i dolcificanti sono non calorici e non avviene un aumento del peso.

In generale si può affermare che l’incidenza negativa delle bevande zuccherate dipenda da diverse implicazioni fisiologiche:

1.      Innalzamento dei trigliceridi per elevato carico di carboidrati raffinati
2.      Abbassamento dei livelli di colesterolo HDL
3.      Aumento della resistenza insulinica
4.      Scarso potere saziante e aumento del consumo calorico generale durante la giornata.
 
Tutte condizioni fisiologiche che predispongono a malattie cardiovascolari, dislipidemie o diabete.
Un interessante aspetto, inoltre, è il seguente: i bambini potrebbero abituarsi al “gusto delle bevande zuccherate” così tanto da subire un'alterazione del proprio gusto e del proprio senso di sazietà andando, nel lungo periodo, ad introdurre cibi meno dolci come verdure, frutta e legumi.

In attesa che la documentazione scientifica si faccia ancora più autorevole teniamoci alla larga dalle bevande zuccherate ed inculchiamo questo atteggiamento sopratutto nei bambini.

ORA, AVETE VOGLIA DI FANTA O COCA?

giovedì 15 marzo 2012

DIETE, MANTENIMENTO DEL PESO CORPOREO E ATTIVITA' FISICA


Scrivo quest’articolo con tanta tanta voglia perchè andrò a riportare delle idee che sono mie già da quando avevo 19 anni, quando sapevo quasi zero di alimentazione.

NEL LUNGO PERIODO PERDERE O ACQUISTARE PESO NON E’ ALTRA CHE IL RISULTATO DI UN DEFICIT O UN SURPLUS DI CALORIE.

Entriamo nel dettaglio.

Ho trovato su un blog americano, segnalato da un mio amico medico, delle valutazioni fatte da Stanford University riguardanti la comparazione di dati di diversi programmi dimagranti.

Tre delle diete analizzate sono le seguenti:
1.      Dieta Atkins
2.      Dieta a Zona
3.      Dieta Ornish
4.      Dieta a basso contenuto di grassi

Le prime due sono diete ad altro contenuto proteico, la terza ricca in grassi e la quarta è quella consigliata dagli esperti.

Dopo un anno i pazienti che avevano seguito la dieta Atkins avevano perso in media 5 chilogrammi mentre quelli appartenenti agli altri gruppi in media avevano perso 1,5 chilogrammi.
Alcune riviste pubblicavano titoli come i seguenti: “Atkins vince” “ ; “meglio l’Atkins della zona o dei consigli degli esperti”.

ORA AGUZZATE L’INGEGNO E SEGUITEMI

Questi dati non dimostrano che Atkins è un genio, ma vanno interpretati.
La giusta alimentazione è un equilibrio di fattori medici e psicologici, non è un’equazione matematica che qualche individuo può fare propria, proclamandosi inventore della dieta del secolo!

Ritornando a noi…..

L’autore dello studio, Christopher D. Gardner, nutrizionista presso la Stanford University riferisce che “c’è stato un calo di peso maggiore in una delle diete piuttosto che nelle altre, ma è un dato comunque modesto”.
Un altro studio effettuato da ricercatori dell’Università della California a Los Angeles è molto importante a considerare.

Nelle loro analisi vanno a comparare trentuno studi a lungo termine scoprendo che la maggior parte dei pazienti ha perso tra il 5 e il 10 per cento della loro massa corporea.

In generale riprendere peso era comune tra quasi tutti i pazienti.

Le considerazioni d’obbligo sono queste: in generale la gente pensa che il problema reale siano i grassi, nel tentativo di diminuirli nella dieta non si ci preoccupa di controllare altri alimenti potenzialmente più dannosi come bibite, bevande zuccherine, bevande sportive ricche di zuccheri ( rivedere l’articolo http://maiullarinutrizionista.blogspot.com/2012/01/una-bevanda-artigianale-la-sana-e.html ), alimenti a basso contenuto di fibra…

Diversi studiosi affermano che il metodo Atkins è un modo veloce per perdere peso ma non è un modo per mantenerlo.

Personalmente è UTOPIA pensare di vivere costantemente affamati quindi, nel mantenimento del peso corporeo, diventa FONDAMENTALE L’ATTIVITA’ FISICA.

La qualità della vita migliora notevolmente (pensate a come vi sentire prima e dopo un lungo periodo con o senza attività fisica, confrontate i due stati d’animo) e si arriva a un punto in cui, non dico che si diventa molto appassionati di sport o palestre, ma si trova sempre la strada e lo spazio per qualche ora a settimana di sano moto.

PAGHERETE UN PREZZO PER ESSERE OBESI O SOVRAPPESO ED OCCORE FARE TANTI TANTI SACRIFICI PER ESSERE REDENTI: E ORA SCENDERE DI CASA E CORRERE




mercoledì 14 marzo 2012

CONSIDERAZIONI SUL GRASSO CORPOREO


Una chiara associazione tra obesità e gravi malattie come ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari e persino il cancro è ormai nota a tutti.
Tuttavia molti aspetti che regolano questa relazione sono tutt’oggi poco chiari.

La definizione più generale e comune di obesità dal punto di vista medico si basa sull’INDICE DI  MASSA CORPOREO(IMC).
Questo valore è il rapporto espresso in chilogrammi diviso il quadrato dell’altezza espresso in metri.

La soglia della mortalità aumenta oggettivamente quando questo valore supera i 30 e, perciò, si associa questo valore all’obesità.
Tra 25 e 30 si parla di sovrappeso e rappresenta un campanello d’allarme piuttosto che un reale possibile paniere di patologia/e.

Da alcuni punti di vista è un valore fittizio: pensate ad un atleta NBA alto 1.90 con peso 100 o un robusto difensore della serie A di calcio italiana, i loro IMC saranno alti ma capiamo benissimo che sono in salute.

Questo valore è un parametro iniziale di analisi medica del paziente ed è assolutamente necessario associarlo ad altri fattori.
C’è chi ha problemi di salute già con valori relativamente bassi intorno ai 25, chi invece con valore 35 è perfettamente in salute.

Non tutto il grasso comunque ha gli stessi effetti.
Molti studi suggeriscono che diabete e malattie cardiovascolari siano strettamente collegate al grasso intra-addominale o viscerale.

A volte la famosa forma a “pera”  difficilmente provoca malattie se non è associata a grasso sulla “pancia”.
Al contrario se la “pancia” abbonda la probabilità di contrarre diabete o altre malattie è relativamente alta, nonostante il grasso “sotto la cinta” sia basso.

Spesso vox populi parla di grasso uguale malattia senza conoscere bene i meccanismi delicati dietro questa affermazione: in realtà è la stessa scienza che sta cercando ancora una strada maestra.

Una teoria indica che in grasso addominale è collocato in modo da liberare acidi grassi e forse altre sostanza e segnali nella vena porta che irrora direttamente il fegato, influenzando potenzialmente il funzionamento di organi cruciali.

Il tessuto adiposo, inoltre, produce una serie di inneschi di infiammazione che potrebbero contribuire al rischio di cancro, diabete, malattie cardiovascolari ed altri disturbi immunitari.

L'adiponectina è un ormone proteico che modula alcuni processi metabolici, inclusa la regolazione del glucosio e il catabolismo degli acidi grassi.
L'adiponectina è secreta dal tessuto adiposo nel flusso sanguigno ed è molto abbondante nel plasma sanguigno in funzione di altri ormoni. 

I livelli di presenza dell'ormone sono inversamente collegati con la percentuale di grasso nel corpo  gli obesi, infatti, producono livelli più bassi di questo ormone rispetto ad individui normopeso.
Questo meccanismo è stato verificato negli adulti ma, ad oggi, non ancora nei bambini.

L'adiponectina:
·       promuove l'ossidazione degli acidi grassi nei muscoli
·       riduce l'apporto di acidi grassi al fegato con minore sintesi di “molecole grasse”

La potenziale perdita degli effetti benefici di questo ormone per aumento del grasso corporeo + associato allo sviluppo di insulino-resistenza e quindi alle malattie cardiovascolari.

Un ruolo più diretto nell ‘insulino-resistenza è svolto dall’adipochina, una proteina che lega il retinolo e che le cellule adipose producono in maggiori quantità nelle persone obese.

Studi effettuati sugli animali dimostrano che il retinolo diminuisce la sensibilità dell’insulina da parte di fegato e cellule.

Recenti scoperte evidenziano come maggiori quantità di grasso viscerale vadano a generare maggiori quantità di retinolo rispetto a quanto faccio il grasso sottocutaneo presenti in altre regioni del corpo.

Ad oggi è difficile indicare una via in quanto ci sono ulteriori aspetti da analizzare nella lotta al sovrappeso e all’obesità.
A breve illustrerò altri punti di vista importanti.

UN CENNO AGLI ALIMENTI FUNZIONALI


4 email nel giro di due giorni: argomento ALIMENTI FUNZIONALI! Vi accontento!
Gli  “alimenti funzionali” sono una categoria di cibo che presenta al loro interno alcuni componenti “non nutrienti” ma attivi dal punto di vista biologico e che influenzano positivamente la nostra salute.

La loro storia sicuramente non è attuale e questo è dimostrabile analizzando la medicina cinese la quale ha sempre creduto e sostenuto la possibilità di migliorare l’efficienza fisica e mentale attraverso l’uso di certi alimenti piuttosto che di altri.

I primi alimenti creati erano caratterizzati da un ridotto contenuto energetico, attraverso un abbassamento della quota di grassi e/o zuccheri, seguiti poi da alimenti come gli yogurt che aiutano la normale funzione intestinale.
Col proseguire degli anni la tecnologia ha permesso di isolare i singoli componenti di interesse e di creare alimenti ad hoc( che secondo il mio modestissimo parere vengo pubblicizzati nella maggior parte dei casi con eccessiva enfasi).

Ad oggi nell'Unione Europea la legislazione è assente.
Esistono  due categorie di alimenti funzionali:
  • Tipo A: alimenti che migliorano una specifica funzione fisiologica.                                                                    Questo tipo di alimenti non hanno relazione a malattie o stati patologici in generale. Vedi per il caffè, grazie alla sua xantina caffeina aumenta le capacità cognitive.
  • Tipo B: alimenti che riducono il rischio di una malattia. Per esempio è dimostrato che il licopene del pomodoro può ridurre il rischio di tumori.
Poche sono le nazione che hanno deciso di legiferare in merito a questo aspetto della nutrizione.
In Giappone, per esempio, tali alimenti sono riconosciuti e commercializzati con la sigla FOSHU (Food for Specific Health Use), e le loro proprietà funzionali sono necessariamente verificate attraverso studi scientifici.

Gli alimenti classificati come FOSHU devono essere approvati dal Ministro della Salute e da quello del Welfare.
Un aspetto curioso è quello relativo agli health claims, ovvero a quello che viene riportato sull’alimento per indicarne le specifiche proprietà.

Nell’Unione Europea, non esiste una legislazione armonica sugli health claims.
È idea diffusa che gli health claims devono essere correttamente formulati per tutelare il consumatore, promuovere il commercio e favorire la ricerca accademica e l’innovazione nell’industria alimentare.

Avviene sempre? Ne dubito….

Sono dell’idea che le aziende e i pubblicitari percorrano questa strada al limite del lecito in quanto la maggior parte delle volte assisto a pubblicità con un livello di enfasi molto alto che porta secondo me il potenziale cliente realmente fuori strada.
QUINDI CHIEDERE AD ESPERTI PER CAPIRE A FONDO COSA LA TV VOGLIA FARE PASSARE.

Nell’ultimo decennio, partendo dalla Svezia, sono state adottate diverse iniziative volte a facilitare l’utilizzo degli health claims, quali l’adozione di linee guida e codici di comportamento negli Stati membri dell’UE, tra cui la Svezia, l’Olanda e il Regno Unito, quest’ultimo con la “Joint Health Claims Initiative” (JHCI).

Negli USA, a partire dal 1993, sono stati ammessi su alcuni alimenti i claim relativi alla "riduzione del rischio di malattia".
Tali claim sono autorizzati dall’americana Food and Drug Administration (FDA) sulla base della "totalità delle evidenze scientifiche pubbliche e qualora vi sia ampio consenso scientifico tra esperti qualificati sul fatto che i claims siano avvalorati da tali prove".

Anche se le aziende possono utilizzare la comunicazione delle proprietà salutari per commercializzare i loro prodotti, l’intenzione dichiarata della FDA è far sì che gli health claims favoriscano il consumatore, fornendo informazioni su modelli alimentari sani che possano contribuire a ridurre il rischio di patologie come le malattie cardiache e il cancro.

La FDA ha annunciato che gli health claims possono anche basarsi su dichiarazioni approvate da un Organismo Scientifico Federale, come i “National Institutes of Health” e i “Centres for Disease Control and Prevention”, nonché la “National Academy of Sciences”.

L’Unione Europea ha un programma chiamato Functional Food Science in Europe (FUFOSE): questo programma è stato coordinato dall’International Life Sciences Institute (ILSI) Europe, con l’obiettivo di stabilire e sviluppare un approccio scientifico su alimenti con specifiche funzioni biologiche.

Il progetto FUFOSE ha preso in esame sei aspetti: crescita, sviluppo e differenziazione cellulare, metabolismo basale, difese dai composti ossidanti, alimenti funzionali e sistema cardiovascolare, fisiologia e funzionalità gastrointestinale ed effetti degli alimenti sul comportamento e sul profilo psicologico.
Il documento finale è stato pubblicato sul British Journal of Nutrition. 

Questo rapporto sottolinea come gli alimenti funzionali debbano comunque restare «alimenti», come tradizionalmente li conosciamo, e dimostrare la loro efficacia nelle quantità normalmente consumate nella dieta.
Funzionale può essere un alimento integrale naturale, un alimento a cui è stato aggiunto un componente, o un alimento da cui è stato eliminato un elemento con mezzi tecnologici o biotecnologici.

Può anche trattarsi di un alimento in cui è stata modificata la natura di uno o più componenti, o la biodisponibilità di uno o più elementi, o una qualsiasi combinazione di queste possibilità. Può essere destinato alla popolazione in genere o a gruppi specifici di persone che possono essere definiti, per esempio, in base all’età o alla costituzione genetica.

L’Azione Concertata della UE sostiene lo sviluppo di due tipi di health claims per gli alimenti funzionali, che devono sempre essere validi nell’ambito dell’alimentazione nella sua globalità e devono riferirsi a quantitativi di cibo normalmente consumati in una dieta. 

Tali health claims sono:
1. TIPO A: claim correlati al “miglioramento di una funzione biologica” in riferimento a specifiche attività fisiologiche, psicologiche e biologiche che vanno oltre il loro ruolo accertato nella crescita, nello sviluppo e in altre normali funzioni dell’organismo.
Questo tipo di dicitura non fa riferimento ad una malattia o ad uno stato patologico, per esempio alcuni oligosaccaridi non digeribili migliorano la crescita di una determinata flora batterica nell’intestino; la caffeina può migliorare l’efficienza cognitiva. 

2. TIPO B: claim correlati alla “riduzione del rischio di malattia” che si riferiscono al consumo di un alimento o di un componente alimentare che potrebbe contribuire alla riduzione del rischio di una data malattia o ad uno stato patologico grazie a specifici nutrienti o non nutrienti in esso contenuti (per esempio il folato può ridurre, in una donna le probabilità di avere un figlio con difetti del midollo spinale e un apporto sufficiente di calcio può contribuire a ridurre il rischio di osteoporosi nell’anzianità). 

Le conclusioni e i principi del progetto FUFOSE devono essere ancora implementati. È stato quindi avviato un nuovo programma di Azione Concertata della Commissione Europea, il progetto Process for the Assessment of Scientific Support for Claims on Foods (PASSCLAIM), che si prefigge l’obiettivo di risolvere alcuni degli attuali problemi relativi alla validazione, alla conferma scientifica dei claims e alla comunicazione al consumatore. 

Il progetto parte e si sviluppa sul principio che i claims relativi al "miglioramento di una funzione biologica" e alla "riduzione del rischio di malattia" devono essere basati su studi articolati che utilizzino bioindicatori debitamente identificati, caratterizzati e convalidati.
Il progetto PASSCLAIM mira a stabilire criteri comuni per valutare la fondatezza scientifica degli health claims, fornendo un quadro normativo per la preparazione di dossier scientifici a sostegno di tali claims.

 Il documento concertato PASSCLAIM aiuterà chi preparerà e regolamenterà i claims e ne migliorerà anche la credibilità agli occhi dei consumatori. Questa strategia integrata genererà una maggior fiducia da parte dei consumatori nella fondatezza scientifica degli health claims, fornendo una risposta efficace alle loro preoccupazioni. 

Benché non esista una legislazione europea specifica in materia di sicurezza degli alimenti funzionali, gli aspetti di sicurezza alimentare sono già contemplati dalle attuali normative UE. 

Tuttavia, gli alimenti che rivendicano proprietà salutistiche devono tenere in considerazione il valore dietetico globale, compresa la quantità e la frequenza di consumo, ogni potenziale interazione con altri costituenti alimentari, qualsiasi impatto sul metabolismo e i potenziali effetti negativi, tra cui i rischi di allergia e intolleranza. 

Gli alimenti funzionali, consumati nell’ambito di una dieta e di uno stile di vita equilibrato, offrono grandi potenzialità nel miglioramento della salute e/o nel contribuire alla prevenzione di determinate malattie.

La questione degli health claims sta assumendo un’importanza crescente e vi è ampio consenso sulla necessità di un quadro normativo UE che tuteli i consumatori, favorisca il commercio e promuova l’innovazione del prodotto nell’industria alimentare.

Le opportunità di ricerca in campo nutrizionale nell’analisi del rapporto tra un alimento o componente alimentare e il miglioramento dello stato di salute e del benessere, oppure la riduzione del rischio di malattia, costituiscono la sfida più impegnativa per gli scienziati di oggi e di domani. Altro tema di importanza cruciale è la comunicazione dei benefici salutistici ai consumatori al fine di fornire le conoscenze necessarie per una scelta informata.