mercoledì 30 maggio 2012

MA L'ASPARTAME E' UN VELENO?


È sempre difficile capire quale sia la verità con riferimento ad argomenti su cui ruotano mille idee e anche mille interessi, come nel caso dell’aspartame.

Trattasi di sostanza controversa e misteriosa: da un lato responsabile di tumore, sclerosi multipla, eritemi e dall’altro additivo innocuo.

Questo dolcificante è etichettato come “non calorico” e tecnicamente questa notizia va approfondita.
Arrivato nel tuo digerente il dibattuto aspartame si scinde in acido aspartico, fenilalanina e metanolo; il corpo puntualmente metabolizza e assorbe questi composti.

Il loro contenuto calorico complessivo è di circa 4 kcal il grammo: dov’è quindi il suo essere non calorico?
Questa proprietà risiede nella capacità dell’aspartame di essere 180 volte più dolce dello zucchero quindi abbiamo bisogno di una quantità notevolmente minore per avere la stessa dolcezza.

Molte bevande dietetiche contengono aspartame che, secondo le dosi giornaliere raccomandate, non deve essere maggiore di 50 mg al giorno per kg di peso corporeo.

E ora??? Noi quanto ne prendiamo???

Secondo diverse analisi anche i consumatori più accaniti ne assumono circa 1/10 della razione giornaliera massima.
Da rilevare che l’utilizzo dell’aspartame non può avvenire in cibi cotti con liquidi o al forno in quanto il calore andrebbe a determinare la perdita del suo potere dolcificante.

Gli studi sull’aspartame sono stati diversi: in circa il 30% dei casi si parla di effetti negativi che spesso sono emicrania, calo della vista e/o vertigini.
In pochi casi (24%) si sono verificati problemi gastrointestinali o (15%) problemi dermatologici.
Nella maggior parte dei casi queste difficoltà sono relative ad assunzioni molto alte di aspartame.

Alla Duke University è stato condotto uno studio soprattutto sugli individui che avevano dichiarato sensibilità all’aspartame.

I risultati hanno evidenziato alcuna differenza nella frequenza del mal di testa, nella pressione sanguigna o nelle concentrazioni d’istamina nel sangue (quest’ultimo valore è molto importante nel capire il potere allergenico) fra i gruppi sperimentali e quelli di controllo.

In un altro studio, effettuato all’Università dell’Illinois  con la partecipazione dei diabetici, i soggetti trattati con placebo hanno manifestato più reazioni del gruppo trattato con aspartame.

La tipologia di dati raccolta, anche in altri studi, è tendenzialmente contrastante e questo dimostra che i sintomi non sono irreali ma non è così immediato attribuire il tutto all’aspartame.


I sintomi, in generale, non sono netti ma posso essere attribuiti a diverse cause che difficilmente sono identificabili.

A volte, per esempio, potrebbe capitare di attribuire delle semplici palpitazioni all’aspartame piuttosto che alla caffeina appena ingerita tramite caffè espresso al bar.

In altri studi, invece, diversi sintomi allergici come orticaria o rigonfiamenti sono stati attribuiti all’aspartame giacché gli altri componenti dello studio non potevano produrre questa sintomatologia.
In realtà è salito alla ribalta negli ultimi tempi un metabolita, chiamato dichetopiperazina, capace di dare reazioni allergiche.
Va sottolineato che i tre prodotti della decomposizione(fenilalanina, acido aspartico e metanolo) dell’aspartame sono tutti tossici ad alte dosi.

La fenilalanina ad alte dosi può indurre danni celebrali soprattutto in quei bambini che nascono con la fenilchetonuria, un disturbo che non permette di metabolizzare questo composto.
Per i primi sei anni di vita, i bambini affetti da questo disturbo dovrebbero non assumere fenilalanina.
L’acido aspartico è stato studiato soprattutto nei primati.

Dopo la somministrazione di questa sostanza non ne risultò alcun danno e anche gli esseri umani lo eliminano rapidamente.

Il vero metabolita indiziato in realtà è il metanolo, che, se assunto in grosse quantità, può dare cecità e anche morte: diversi studiosi hanno additato il metanolo come sostanza insicura.
Ma attenzione a questo principio generale: NON ESISTONO SOSTANZA SICURE MA DOSI SICURE.

All’interno di una dieta generale il metanolo derivante dall’aspartame è insignificante; si trova naturalmente in diversi cibi e, per esempio, il contenuto nel succo di frutta è due volte e mezzo superiore alla quantità contenuta in una bibita con aspartame.

Ho letto su un paio di forum di benessere e medicina in generale di una certa Betty Martini, direttrice di Mission Possible International, un’organizzazione che combatte l’aspartame.
Contattata, sembra che vi fornirà tonnellate di prove contro l’aspartame.

Ma quanto è attendibile l’informazione via web? Ci sono tanti altri siti contro le proteine di soia, l’integrazione di proteine, l’olio di colza…

Io, non sono un fanatico dei dolcificanti (come spesso ripeto ai miei pazienti, non è fondamentale stare attenti al cucchiaio di zucchero nel caffè quanto alla quantità giornaliera di pasta o pane o carne rossa) MA capisco che per i diabetici, impegnati nel controllo dell’insulina, queste sostanze sono utili.

Partiamo da un presupposto: una sostanza immersa sul mercato sarà controllata e quindi saranno monitorati i suoi rischi.
Gli studi sull’aspartame indicano che qualche problema potrebbe verificarsi.

Ripeto di nuovo: ogni sostanza introdotta in maniera massiccia, con dosaggi elevati sarà problemi.
E lo stesso vale con l’aspartame :-)

Nel caso della sclerosi multipla la relazione con l’aspartame non è valida e la letteratura scientifica non la sostiene.
Cancro al cervello, tumori in generale e altre patologie rientrano nella stessa linea di ragionamento.
Il più brillanta ricercatore a livello mondiale nel campo cervello e nutrizione è Richard Wurtman del Massachusetts Institute of Tecnology.

Ho letto alcuni suoi interventi e alcune suoi punti di vista e il risultato finale è lo stesso: l’aspartame può dare convulsioni ma solo in pochissimi casi.
Nota; il nostro carissimo dottore consuma bevande dietetiche con aspartame.

Discussioni come queste sulla polarizzazione dei sintomi e sulle qualità di un alimento sono frequenti e tanto frequenti saranno i dubbiosi che diranno: non ti fidare di quel parere, quel ricercatore è stato pagato.

Pagato cosa vuol dire? Sarebbe più corretto FINANZIATO, che indica uno sponsor pagante un esperto per valutare determinate situazioni.
QUESTO NON VUOL DIRE COMPRARLO!

Continuerò a seguire questa vicenda, che si colloca nell’ambito delle situazioni aneddotiche da cui spesso si trae spunto per costruire un elemento scientifico degno di validità.

Senz’altro qualche individuo sostiene di aver ricevuto danni dall’assunzione di aspartame ma a oggi la scienza non ha dimostrato UNA MALATTIA EPIDEMICA LEGATA ALL’ASPARTAME A LIVELLO MONDIALE.

Ciao a tutti




lunedì 28 maggio 2012

PARADOSSALE ELOGIO DEL GRASSO


Quest’articolo parte da una singolare tradizione africana tipica soprattutto del popolo dei Masa, originario del Ciad.

Il rituale riguarda un vecchio e ancestrale isolamento di circa 8 settimane durante le quali i partecipanti consumano circa 11 pasti al giorno, per un totale di 13000 kcal quotidiane.

Perché consumare quasi il triplo delle calorie necessarie per un uomo?

Venerazione e stop! Non c’è altra motivazione. Per quando in occidente una simile pratica abbia del pazzesco, presso certe culture la corpulenza, il sovrappeso e le rotondità sono canoni di bellezza e riconoscimento socio-sessuale.

All’inizio la reazione di un organismo è piuttosto riluttante con crampi e vomito che diventano molto frequenti per poi lasciare spazio a un “regolare e asintomatico” ingrassamento.

Questo esempio non deve degnarci o spaventarci: la società moderna ha catechizzato, in uno stato di OGGETTIVA sovrabbondanza, il grasso come parametro negativo; fino agli anni ’70 e agli ’80 il grasso era o bello o non criticato e quest’atteggiamento andava a braccetto con periodi di OGGETTIVE carestie o di OGGETTIVO e modestissimo benessere. 

ATTENZIONE.
Per quanto il grasso sia brutto, il grasso sia odiato, il grasso sia odiato le sue funzioni nei tempi non cambiano.

La natura ha creato “il grasso” per garantire ai mammiferi quantità di energia in momenti di carestia e, in questo contesto, l’Homo sapiens ha accumulato questi depositi con grande efficienza.

S’ipotizza che questa efficienza sia dovuta ai particolari pericoli che l’uomo ha dovuto affrontare durante la sua evoluzione e, quindi, al raffinato meccanismo di adattamento che ne è derivato.
La varietà di cibo a disposizione dei nostri antenati era oggettivamente varia, ma questo non li poneva al riparo da possibili carestie.

Gli adipociti sono diffusi, presenti ovunque, costituiti sempre dalla stessa tipologia di cellula e si riempiono sempre di acidi grassi.

Questi accumuli derivano da grassi contenuti negli alimenti o dai carboidrati in eccesso; magro o grasso un corpo lo diventa anche quanto gli adipociti sono pieni: in questo caso il corpo produce nuovi adipociti che andranno a finire soprattutto in ventre, cosce e glutei.

La funzione è solo energetica? Assolutamente no.

Nel corso dell’evoluzione questo tessuto si è trasformato in una vera e propria fabbrica capace di costruire messaggi e ormoni, da rilasciare in seguito nel torrente sanguigno.

Guardiamo il famoso ormone leptina: se i depositi di grasso sono colmi, l'ormone invia un segnale al cervello che non "mangia più"; se invece la concentrazione della leptina diminuisce, allora torna l'appetito.

Durante la menopausa le cellule adipose sono l'unica sostanza in grado di produrre estrogeni.

La relazione tra grasso e sistema immunitario è altrettanto importante: durante l'invasione di una sostanza esterna i primi a percepire la presenza di agenti patogeni sono gli adipociti che provvedono a liberare proteine specifiche.

In casi di carestie si muore più facilmente perchè diminuisce l'interazione tra sistema immunitario e adipociti: siamo, per questo, maggiormente esposti a malattie e infezioni.

Elogiato, criticato, cosa succede al grasso?

Nell'arco degli ultimi vent’anni la letteratura ha evidenziato un ormai conosciutissimo dato: più grasso hai, più probabilmente sarà peggiore il tuo stato di salute.

Il rapporto prima indicato tra adipe e sistema immunitario, da fantastico alleato della nostra salute può diventare un avversario in quanto, se gli adipociti sono eccessivamente gonfi, questi possono creare un forte stato d’infiammazione.

Nel lungo periodo bisogna consumare più calorie di quelle che si assumono: gli adipociti così si svuotano.

Miei Carissimi affezionati lettori, quest’ultima riga è l’11° comandamento: Dio mi perdoni ma non mi perdoneranno certo quei ciarlatani che chiamano le diete in mille modi solo per vendere di più. Chiaro? A breve scriverò un articolo solo su questo.

Esiste un altro tipo di adiposità: quello di cui abbiamo parlato ora è il grasso bianco, esiste anche quello “bruno”.

Questo grasso è particolarmente presente nei neonati e ha lo scopo di raffreddare il corpo rapidamente.

È stato recentemente scoperto che queste cellule brune sono presenti in alcuni distretti corporei delle persone adulte snelle (dopo un lungo periodo in cui si è creduto che questo grasso fosse solo “da neonati”) capaci di consumare più calorie rispetto ai soggetti normali.

La presenza di questa tipologia di grasso garantisce un consumo calorico a riposo maggiore.

Sembra, quindi, che le persone magre per costituzione esistano davvero e ora i ricercatori stanno indirizzando i loro studi in questo senso, ipotizzando la possibilità di creare questo tessuto adiposo bruno.

Forse un giorno per essere magri dovremmo trapiantare dell’altro grasso? Probabile :-)




giovedì 17 maggio 2012

PICCOLA METAMORFOSI GASTRONOMICA ITALIANA


In Italia stiamo “gastronomicamente” cambiando?
Decenni fa l’eccezione era mangiare fuori, oggi è la regola? 

Partiamo 3 tra punti
1)      La società cambia
2)      Il tasso di occupazione femminile è aumentato notevolmente
3)      Gli adolescenti affollano bar e McDonald

Secondo una ricerca delle FIPE( Federazione Italiana Pubblici Esercizi) del 2007 il mercato italiano vale 50 miliardi di euro, dove le tavole di lusso rappresentano il 10% del totale ed il resto è ristorazione informale.
All’interno di questo “resto” c’è di tutto: McDonald, Sushi Express, happy hour, piadine rie, rosticcerie...
Nel passato( chiedere ai propri genitori) mangiare fuori era sinonimo di evento particolare quasi unico, ora tutti adorano mangiare fuori.

In casa prevale il piatto unico, veloce, rapido, magari surgelato; fuori casa l’insieme dei gesti si prolunga con più portate.
Il rito dell’aperitivo è significativo: diventa il simbolo dei pasti “socialmente aggreganti” ed è difficile stabilire se si tratta di una cena o di altro.

Gli stessi menù, che nel 90% dei casi coincidono, sono a base di nocciole, patate, olive: gli alimenti che ricordano l’Italia povera del dopoguerra.
Nonostante la crisi, il ruolo della ristorazione sembra essere quello di luogo in cui domina abbondanza e convivialità: alla faccia della crisi :-)

Dietro al cibo circolano tanti eurini, che si tratti di junk o di health food.

Una rilevazione del 2011 indica che i consumi generali in genere aumentano:
1)      Hamburger +6,3%
2)      Pizze +3,2%
3)      Panini +1,5%

Il ruolo più importante in questo contesto è recitato dai ristoranti a servizio completo a basso costo che indicono per il 47,9% sul mercato.
I bar distanziati e rappresentano il 23,9% del mercato; leggermente dietro le pizzerie che indicono sul 13,5% della torta.

Il resto va diviso per esercizi minori come panetterie, supermercati( sempre più attivi nel mercato del “pronto da mangiare”), gelaterie e ristoranti etnici.

Il mercato italiano delle ristorazione vale circa 50 miliardi di euro.
Gli hamburger rappresentano circa 1/50 di questo mercato così come i ristoranti etnici; il business dei panini sfornati e quello dei piccoli ristoranti producono un fatturato di circa il doppio rispetto ai precedenti segmenti.

Ringraziando Dio il concetto di sano si sta diffondendo, si sta comprendendo sempre di più che l’alimentazione è alla base della salute.
Spuntano così trasmissioni legate al dimagrimento, forum in sui si discute dell’effetto benefico di un alimento in particolare, agriturismi che vendono al dettaglio la loro frutta e i loro ortaggi.

E gli chef???  Sembrano loro i nuovi “VIP”, sono presenti ovunque: saloni della moda, fiera, trasmissioni televisive di ogni genere.

E poi, in ogni angolo della tv, spunta un il pinco pallino di turno, vecchio concorrente del GF o attorucolo di turno, che si inventa cuoco ( a volte sono patetici).

Libri? Neanche a parlarne, titoli a non finire, scaffali interi: io ne segnalo due, LA GRAMMATICA DEI SAPORI edizioni Gribaudo e SCUOLA DI CUCINA editore Dix; sono libri base che solleticheranno la vostra fantasia.

Frenesia e mode intorno al “food”: sarà energia positiva o negativa?
Staremo a vedere.


mercoledì 2 maggio 2012

SICUREZZA ALIMENTARE E NUOVE TECNOLOGIE


La quantità dei prodotti alimentari venduta in ogni angolo del mondo è oggettivamente elevata ed è, nel frattempo, molto basso il numero di alimenti trovati contaminati.
Una nuova fobia americana, in parte giustificata, è l’idea per la quale un nuovo modo di fare terrorismo potrebbere quello di avvelenare i cibi mettendo in ginocchio l’economia mondiale.

Ma è davvero reale la mancanza di sicurezza del nostro cibo?

Se un terrorista o un dipendente mal fidato decidessero di contaminare una partita di wurstel o latte sarebbe complesso analizzare la catena di produzione ed individuare i “colpevoli”.
E i danni? Anche loro potenzialmente non identificabili: fino a migliaia di euro per le aziende, fino alla morte per i consumatori.
Bisogna comprendere che la produzione ed il confezionamento di un succo di frutta o del latte sono processi complessi e diversi in molti punti.
Ogni fase nel processo industriale legato al cibo è un potenziale punto debole ed non vi è modo di quantificare il possibile danno.

Il sistema di controllo chiamato HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points) è una tipologia di autocontrollo igienico.

Questo processo si basa sul controllo dei punti più sensibili della lavorazione degli alimenti in cui si prospetta un pericolo di contaminazione sia di natura biologica che chimica ma anche fisica.

Diversi esperti ritengono che l’uso di una solo approccio possa non bastare per controllare l’intera filiera di produzione.

Attualmente sono di fase di studio diversi sistemi:

1)      RIVELATORI MICROFLUIDICI: l’Università del Wisconsin sta sviluppando dei chip dotati di anticorpi, alloggiati magneticamente, che potrebbero rivelare sostanze come il botulino nel latte.

2)      CONFEZIONI ATTIVE: E.coli, salmonella ed altri agenti patogeni potrebbero essere individuate grazie a finestre. Lo scopo di queste microaperture sarebbe quello di contare i microrganismi magari legandoli ad enzimi o a precisi metaboliti.

3)      ETICHETTE RFID: sono etichette a radiofrequenza leggibili da uno scanner ed indicanti il luogo di lavorazione. 

4)      ETICHETTE COMMESTIBILI: si tratta di un’idea molto pratica perché permette attraverso marcatori microscopici di indicare direttamente sul prodotto il sito d’origine. Le dimensioni piccole renderebbero difficile l’azione dei terroristi e degli operatori-criminali di cibo coi loro alimenti contaminati o contraffatori. Questo metodo può essere perseguito attraverso l’uso di spray e, in alternativa, si può sempre spruzzare una pellicola commestibile la quale, esposta a fasci di luce laser, imprime dei codici di identificazione.

Lo scopo di questi dispositivi è uguale: evitare problemi microbiologici e, nel caso in cui ne sorgesse uno, identificare i punti critica della catena produttiva.

Le etichette RFID sono quelle più evolute e potranno diventare sempre più piccole ed economiche in modo da diventare accessibili ad una fascia di prodotti maggiore.

Il metodo dell’etichettatura è vantaggioso perché rapido, semplice e non invasivo.
Ad oggi si stanno sviluppando diversi tipi di etichettature per andare a valutare una gamma di parametri sempre più ampia.
Alcune etichette valutano se il cibo è stato esposto ad alte temperature, altre valutano quando tempo il cibo ha impiegato prima di essere reso disponibile nella grande distribuzione.

Molto utili sarebbero, a mio parere, sarebbero le confezioni attive in quanto capaci di avvisare direttamente il produttore.
Come direbbe il buon Lubrano ( a proposito, ma che fine ha fatto? ) la domanda nasce spontanea: ma perché un metodo così pratico e così utile non viene usato su larga scala?

Soldi, soldi, è sempre una questione di soldi.

l prezzo dell’etichettatura,a volte, può equivalere al guadagno che il contadino ha per ogni casetta di frutta.
In questo senso si sta lavorando all’abbassamento dei costi: la strada però non è così semplice perché si tratta pur sempre di microtecnologie che, per definizione, non sono proprio economiche.

Spero che le aziende si sensibilizzo sempre più alla questione per due motivi
1)      La sicurezza del consumatore ( e su questo argomento non c’è niente da aggiungere)
2)      L’abbassamento dei costi di “sicurezza”: se le aziende utilizzassero su larga scala l’etichettatura, i costi di produzione sarebbero molto più bassi.

Le grandi aziende devono capire che è necessario effettuare controlli ad ogni livello, sopratutto in stati “gastronomicamente avanzanti” come il nostro e quindi, se vogliono davvero protegger i loro prodotti, devo rendere sempre più sicuri tutti i passaggi.